TRAME DI STORIA
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Una breve panoramica di come un artigiano vive il rapporto con i non artigiani
Quando mi viene chiesto che lavoro faccio e rispondo che ho un laboratorio di tessitura a mano, la reazione è quasi sempre la stessa:
“Ah, che beeeello!!!”
Segue un sorriso, a volte persino un’espressione sognante…
Ma poi, negli occhi del mio interlocutore, compare una certa vacuità,
quella tipica di chi non ha la minima idea di cosa io stia parlando.
Allora sento il dovere di spiegarmi meglio.
Non per fargli pesare l’ignoranza — che non è mai una colpa — ma per chiarire che sì, il mio lavoro è un po’ “fuori dal comune”, e che si tratta di uno dei mestieri più antichi del mondo.
A quel punto, a volte, scatta l’interesse: mi vengono fatte domande, a cui rispondo volentieri.Altre volte invece si cambia discorso, come se avessi detto che colleziono tappi di bottiglia. In fondo, se fossi elettricista forse risulterei più interessante…
Ma la vera sfida, per me e per tanti altri artigiani, è far capire alla maggior parte delle persone perché ciò che facciamo ha valore.
Perché un nostro articolo costa più di uno “simile” trovato in un negozio qualsiasi.
Un oggetto artigianale è praticamente unico.
Ha alle spalle un progetto, ore di lavorazione, materiali di qualità, e spesso anche parecchi fallimenti prima della versione riuscita.
Se sopra ci fosse stampato un bel marchio famoso, magari in lettere dorate, nessuno batterebbe ciglio.
Lo so bene: ho lavorato anche in quel settore.
E vi garantisco che c’è chi, con uno stipendio medio, spende tranquillamente 60 euro per un foulard di viscosa, purché sia firmato.
Non ho nulla contro i marchi — piacciono anche a me.
Ma mi sconforta quando non si percepisce la differenza.
Qualche giorno fa, ad esempio, un passante ha dato un’occhiata distratta a un mio articolo esposto fuori dal laboratorio, e ha esclamato ad alta voce (come se io non fossi lì):
“Cosa?! Tutti questi soldi per un pezzo di tela? Ma stiamo scherzando?!”
Nella mia testa, ho visualizzato me stessa che lo caricavo a testa bassa come un ariete. Ma nella realtà mi sono limitata a fargli notare, con gentilezza, che si trattava di un pezzo fatto a mano. Ha persino chiesto scusa. Non credo sapesse bene il perché, ma almeno ci ha provato.
Sentire certe parole è come una pugnalata.
È come dire:
“Quello che fai non ha valore.” È equipararti, senza pensarci, alla produzione industriale di massa(che rispetto, ma non è la stessa cosa).
È dimenticare il tempo, la fatica, la passione, l’intuito, le notti insonni.
Essere artigiani oggi
Essere artigiani significa mettere a nudo parti intime di sé,pensare a nuovi progetti anche di notte, immaginare soluzioni, sbagliare, ricominciare.
Significa litigare con gli strumenti del mestiere, imprecare perché si rompe un filo o sbagli un passaggio che ti fa perdere ore di lavoro.
Ma significa anche gioire davanti a un progetto riuscito, sapere di averlo “partorito”, di averci messo dentro un pezzettino di te, che ora andrà in giro per il mondo, con chi lo porterà con sé.
E poi ci sono quei momenti bellissimi, quando qualcuno che capisce davvero ti riempie di complimenti e magari acquista un tuo pezzo dicendo:
“Mi ricorderò di te ogni volta che lo indosserò.”
Essere tessitori è una vocazione, prima ancora che un mestiere.
È portare avanti un’arte antica, fatta di gesti ripetuti da secoli, e c’è una sorta di riverenza nel farlo, come se si partecipasse a qualcosa di più grande.
Essere tessitori oggi è una strada in salita.
Lo sapevo prima ancora di iniziare questa avventura.
Ma è una salita che affronto volentieri, passo dopo passo. E so che non mi fermerò
finché non avrò raggiunto la mia vetta